Distanze tra fabbricati: si misurano in modo lineare

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Le distanze tra fabbricati si misurano in modo lineare, perpendicolare ed ortogonale

Con sentenza 1063/2017 del 27 novembre, Il Tar Veneto, ha evidenziato il principio secondo il quale, le distanze tra fabbricati si misurano in modo lineare, perpendicolare ed ortogonale; e che la relativa disciplina non trova pertanto applicazione "quando i fabbricati sono disposti ad angolo e non hanno fra loro pareti contrastanti perché ciò che rileva è la distanza fra opposte pareti". Distanza dai confini PDF

Nel caso di specie, era stato impugnato un rilascio di permesso di costruire con diverse censure, tra le quali la violazione dell'art. 9 del DM 9 aprile 1968, n. 1444, "perché non viene rispettata la distanza di 10 m da una porzione del portico delle ricorrenti che deve considerarsi come parete finestrata".

Secondo i giudici amministrativi, il motivo è infondato, poiché , “l'edificio in progetto in realtà rispetta la distanza di 10 m, perché la porzione del muro che secondo le ricorrenti viola le distanze, viene dalle stesse misurata in modo scorretto"; come controdedotto dalla stessa controinteressata.

Del resto, in giurisprudenza è dato il principio secondo il quale, poiché lo scopo perseguito dal legislatore è quello di evitare intercapedini dannose, ossia evitare la creazione di intercapedini in grado di impedire la libera circolazione dell'aria, come tali produttive di insalubrità oltreché riduttive di luminosità per motivi igienico sanitari; "ciò che rileva è la distanza fra opposte pareti"(cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 5 ottobre 2005, n. 5348).

Da ricordare infine che la disciplina in materia va comunque integrata, ove necessario, con quella dettata dall’art. 9 del D. M. 2 aprile 1968, n. 1444, in tema di distanze tra costruzioni, norma questa che, in ogni caso, stante la sua natura di norma primaria, è comunque obbligatoriamente applicabile in sostituzione di eventuali disposizioni illegittime Cass. Civ., Sez. II, 10 gennaio 2003, n. 158; 27 marzo 2001, n. 4713).

La Normativa di Riferimento

Per completare il quadro di riferimento, giova richiamare, seppur sinteticamente, i principi che la giurisprudenza, civile ed amministrativa, hanno enunciato in materia:

a) l’art. 41 quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, integrato dall'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, nella parte in cui stabilisce che la distanza dagli edifici vicini non può essere inferiore a quella di ciascun fronte dell'edificio da costruire, fa riferimento alla distanza fra fabbricati e non alla distanza di questi dal confine (cfr. Cass, Sez. II, 16 febbraio 1996 n. 1201);

b) l'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 laddove prescrive la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non eludibile in funzione della natura giuridica dell'intercapedine (cfr. Cass., Sez. II, 26 gennaio 2001 n. 1108; Cons. Stato, Sez. V, 19 ottobre 1999 n. 1565); conseguentemente le distanze fra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza;

c) la distanza di dieci metri, che deve sussistere tra edifici antistanti, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano (CdS, Sez. V, 16 febbraio 1979, n. 89).

Tale calcolo, infatti, si riferisce a tutte le pareti finestrate e non soltanto a quella principale, prescindendo altresì dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela (Cass., Sez. II, 30 marzo 2001 n. 4715), indipendentemente dalla circostanza che una sola delle pareti fronteggiantesi sia finestrata e che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell'edificio preesistente, o della progettata sopraelevazione, ovvero ancora che si trovi alla medesima o a diversa altezza rispetto all'altra (cfr. Cass., Sez. II, 3 agosto 1999 n. 8383).

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